La vita umana dispone di un cervello plastico che si evolve nel tempo e inoltre, richiede il continuo confronto con l’altro simile per modellarsi, avere punti di riferimento, trovare un significato all’esistenza. Si tratta di una ricerca implacabile e benchè ci sia connaturato, non è facile creare un legame di solidarietà, un’amicizia, un amore, un buon rapporto adulto-bambino; non è facile generare buone idee e un ideale elevato; è difficilissimo dotare di senso la nostra stessa vita, l’unica di cui disponiamo. Il “magico accordo” è raro e prezioso. Umiliati dal fallimento, dall’ambigua sensazione che siano i nostri simili a sottrarci la felicità, possiamo arrivare a odiarli e a odiare la vita intera. E per difenderci dalla nostra vulnerabilità, dal bisogno che abbiamo degli altri, proprio di coloro di cui diffidiamo, siamo tentati di continuo da una fantasia di annientamento: la pulsione di morte di cui parlava Freud nella sua tarda maturità. La pulsione di morte: cioè l’impulso a dare morte a ciò che ostacola la nostra felicità o, più semplicemente, ad attendere con gioia la nostra stessa morte. Dopo i tragici greci, dopo i grandi drammaturghi del Seicento, ce lo hanno ricordato più di recente Leopardi, Kierkegaard, Nietzsche, Heidegger. Non solo la vita della nostra specie, ma la vita di ciascuno di noi è sporta sull’abisso dell’insensato. La specie umana è di fatto dotata di un’autocoscienza che la spinge a guardarsi nello specchio della mente e a chiedersi: <<Chi sono io? Qual è lo scopo per cui sono qui? Ho un significato?>>. La nostra evoluzione come specie e la nostra esistenza individuale ci mettono di fronte a una verità implacabile: adattarsi al mondo è un’impresa che richiede sorprendenti doti di plasticità morfologica, fisiologica e mentale e un’incessante partita a scacchi con il caotico e l’insensato. Sembra impossibile, eppure esistiamo. Sembra impossibile, eppure siamo autocoscienti. Ma la cosa più impossibile è che, nonostante tutto, siamo in grado di attraversare il silenzio di un deserto sconfinato, l’immane assenza di un interlocutore che ci dica chi siamo, e in quell’arduo percorso siamo in grado di sentire, pensare, amare e infine persino di immaginare per noi stessi degli orizzonti di significato. Tutto ciò ha dell’incredibile: anche noi cerchiamo il contatto, la relazione, la reciprocità, la fine del viaggio nel deserto, per dotarci di un significato e non brancolare nel buio simili a burattini dai fili spezzati, disanimati e senza vita.
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VOGLIO TROVARE UN SENSO A QUESTA VITA
- di Pasquale Lazzaro
- 16 Aprile 2023
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- 1 anno fa