Senza lui la poesia russa attuale non esisterebbe in quanto lo stesso Dostoevskij lo definì <<il principio di tutti i principi^, il simbolo dello spirito russo e il riferimento imprescindibile per artisti, scrittori e poeti che arriveranno dopo di lui. Come spesso accade ai giganti si costruì una vita tormentata fra la mondanità e il progressismo letterario. Sposò Natal’ja Goncarova, una delle donne più belle di tutta la Russia e non risparmiò con lei gli eccessi della mondanità. Sul versante letterario fu critico nei confronti del governo tanto che lo Zar lo mandò in esilio. Ma era talmente bella la sua arte che venne richiamato a corte per essere comunque tenuto sotto controllo. Stiamo parlando del poeta e romanziere, Aleksandr Puskin nato a Mosca il 26 maggio 1799 in una famiglia dell’antica aristocrazia russa. La sua parabola si chiude il 27 gennaio 1837 quando affronta in duello l’ufficiale francese Georges d’Anthès, indicato in una lettera anonima come l’amante della moglie. Gravemente ferito, muore due giorni dopo. Riporto sotto una sua poesia dal titolo “LA ROSA”.
Dov’è la nostra rosa,
amici miei?
E’ appassita la rosa.
Figlia dell’alba.
Non dire: così
appassisce la giovinezza!
Non dire:
ecco la gioia della vita!
Di’ al fiore:
addio, mi dispiace!
E il giglio
mostra a noi.