I lunghi giorni dei lockdown non hanno prodotto solo morte e disperazione; dalla sofferenza si sono svolte riflessioni profonde e sono maturati nuovi talenti. Uno di questi è Giordano Ruini, di cui riporto una riflessione sull’importanza del donarsi e la difficoltà legata a questo movimento dalle resistenze che opponiamo.
<<Sono tanti i motivi per cui si soffre o si pensa di soffrire. Se si va al cuore della questione, si soffre perché non si ha ciò che si vorrebbe, o perché si ha ciò che non si vorrebbe, proprio come dice il Buddha. Si soffre perché c’è il pensiero che le cose dovrebbero essere diverse da quelle che sono. A me sembra che io soffra soprattutto quando non riesco a donare chi sono. Mi è sempre più chiaro che c’è dolore quando non avviene il dono di sé, quando non riusciamo a donarci e a donare noi stessi nella nostra vera essenza. Allora anche la soluzione sembra più luminosa: si pone fine alla sofferenza con il sacrificio, il sacrificio di sé. Ma è molto facile male interpretare queste parole. Sacrificio è una parola da rivedere, da ribaltare. Io stesso non l’ho mai digerita non mi è mai piaciuta. L’ho sempre interpretata come l’ha intesa l’opinione comune: dover fare contro voglia, snaturarsi per far piacere a qualcuno, portare pesi enormi, fare qualcosa per qualcun altro anche se non ci va. Il significato autentico di sacrificio è stato pervertito. Il sacrificio vero non è flagellarsi, non è immolarsi, non è farsi manipolare, non è dare le perle ai porci, non è farsi abusare, non è forzarsi, non è senso del dovere. Tutto il contrario. Il significato etimologico di “sacrificio” è “sacrum facere”: fare il Sacro. Il dono di sé è fare il Sacro, e fare il Sacro è dono di sé. Ora inizio a sentirlo. E’ lasciarsi spogliare di tutto, di tutto. Mettere sul tavolo dell’Esistenza tutto il materiale psicologico sanguinante, congestionato e ribollente della mente e del cuore. “Tieni, Madre, ti regalo tutto questo, tutto ciò che penso di essere. Fanne ciò che vuoi, non mi appartiene. C’è dolore, ecco questo è il mio dolore. C’è gioia, ecco tieni, questa è la mia gioia.” Quando faccio così, donando a quella che io chiamo Madre, che non è niente di religioso in senso stretto, ma è il mio modo unico di rivolgermi a quell’Intelligenza che dà ritmo al respiro, fa fiorire l’acacia e muove il vento, inizia il Sacrificio. Lascio scorrere tutto in me ma non mi aggrappo a nulla. In questo stare con quello che c’è, in questo non trattenere, una trasparenza naturale accade, anche nei momenti di più intensa sofferenza. Si resiste in tanti modi al dono di sé, perché si pensa di perdere, perché si ha paura di privarsi di qualcosa. Io ancora resisto tanto: vedo i miei ciclici sabotaggi, calcoli e paure, vedo il terrore di perdermi, di essere giudicato, di non realizzarmi, di fallire. Bene, ti regalo anche tutto questo Madre, non c’è luogo dove nascondersi, e se anche ci fosse, non lo vorrei più. Per questo chiedo solo di essere fecondo, di essere al Servizio, di lasciar accadere il dono di me>>.