Spesso la tragicità del vissuto e le disavventure in generale fortificano o formano grandi poeti. Marina Cvetaeva nasce poetessa come ha sostenuto Boris Pasternak e diventa grandiosa con le difficoltà che la porteranno al suicidio il 31 Agosto del 1941. Marina è sempre stata integra e fedele a se stessa nonostante le crudeli vicende della storia. Gli avvenimenti più devastanti non hanno spento la sua voce eretica, e benchè la dittatura sovietica abbia infine distrutto la sua vita, la sua poesia appassionata e visionaria conserva ancora oggi un’intatta carica vitale. Scrive versi già a sei anni. <<Perché scrivo? Scrivo perché non posso non scrivere. Alla domanda sullo scopo – risposta sulla causa. E non può essercene altra>>. <<La condizione creativa è quella dell’ossessione. Finchè non cominci –obsession, fino a quando non finisci –possession. Qualcosa, qualcuno, si insedia in te, la tua mano è solo strumento – non di te, di un altro. Di chi si tratta? Di ciò che attraverso te vuole essere>>. Da poeta perennemente alla ricerca di <<incontri di anime>>, nella vita quotidiana Marina vive passioni totalizzanti, seguite da grandi delusioni. In una delle poesie scritte dopo l’invasione nazista della Cecoslovacchia, nel marzo 1939, scrive: <<Al tuo mondo dissennato/una sola risposta – il rifiuto>>. Se si potesse ridurre la sua opera a una formula, secondo Iosif Brodskij sarebbe questa.
AI MIEI VERSI SCRITTI COSI’ PRESTO,
CHE NEMMENO SAPEVO D’ESSER POETA,
SCATURITI COME ZAMPILLI DI FONTANA,
COME SCINTILLE DAI RAZZI.
IRROMPENTI COME PICCOLI DEMONI
NEL SACRAIO DOVE STANNO SONNO E INCENSO,
AI MIEI VERSI DI GIOVINEZZA E DI MORTE,
VERSI CHE NESSUNO HA MAI LETTO!
SPARSI FRA LA POLVERE DEI MAGAZZINI,
DOVE NESSUNO MAI LI PRESE Né LI PRENDERà,
PER I MIEI VERSI, COME PER I PREGIATI VINI,
VERRà PURE IL LORO TURNO.