L’uomo contemporaneo, o homo sapiens è nato duecentomila anni fa nel momento in cui è stato in grado di formulare immagini interiori e materiali e di inserire l’altro essere umano e se stesso fra quelle immagini, quindi in grado di astrarre simboli e possedere un linguaggio. Prima, ovvero al tempo dell’uomo di neanderthal, le funzioni della specie dovevano badare alla sopravvivenza e non era ammesso il pensiero creativo. E’ in tale contesto che si giustifica la presenza della schizofrenia nella specie umana, la quale colpisce l’1% della popolazione mondiale. Con la nascita del linguaggio, l’uomo ha potuto parlarsi, ammonirsi, darsi degli ordini, confliggere con se stesso, tormentarsi: ha potuto opporsi “a se stesso” quindi anche impazzire. Uno studio di grande precisione stima che siano schizofrenici il 28% degli scienziati insigni, il 60% dei compositori, il 73% dei pittori, il 77% dei romanzieri e uno sbalorditivo 87% dei poeti. La schizofrenia viene pertanto custodita geneticamente perché è motivo di evoluzione della specie. Ecco cosa dice Matt Ridley in un punto determinante:
<<La schizofrenia è comune, all’incirca nella stessa misura, in tutto il mondo e in tutti i gruppi etnici: pressappoco un caso ogni cento persone. Ciò potrebbe implicare che le mutazioni predisponenti alcuni esseri umani alla schizofrenia sono antiche, essendo comparse prima che gli antenati di tutti gli esseri umani lasciassero l’Africa e si disseminassero nel resto del mondo. Ma se nell’età della pietra quelle mutazioni non erano vantaggiose ai fini della sopravvivenza, come mai non si sono estinte? Forse la schizofrenia è la conseguenza dell’eccesso di qualcosa che di per se stesso sarebbe positivo: in altre parole, deriverebbe dalla concomitanza, in un unico individuo, di troppi fattori genetici e ambientali che in genere hanno un effetto positivo sulla funzione cerebrale. Questo spiegherebbe perché i geni che predispongono gli esseri umani alla schizofrenia non si estinguono; fintanto che non si ritrovano insieme, ciascuno di essi favorisce la sopravvivenza del suo portatore>> (Ridley, 2004, pp.188-190).