La rilettura del passato è fondamentale per comprendere il presente solo se viene condotta con senso critico e senza intenti giustificazionisti.
Così non è per come si evince, dalle parole di Franco Ambrogio, a proposito degli eventi che in Calabria si verificarono dagli anni ’60 a quelli della cosidetta della “fine della prima Repubblica”.
Il modo con cui il gruppo dirigente del PCI si misurò con la cosiddetta “questione democristiana” è pienamente conseguente alle coordinate di fondo della strategia definita come “svolta di Salerno”.
In essa una tronfia “autonomia del politico” rimuoveva le radici di classe dei partiti politici e la loro caratteristica di essere fondamentalmente una nomenclatura di ben definite formazioni sociali per come aveva visto lucidamente l’analisi gramsciana.
Questa rimozione ha comportato la linea di operare nella società calabrese perseguendo il tentativo, velleitario, di rimuovere gli elementi costitutivi sui quali si fondava la democrazia cristiana.che fondeva elementi di un blocco agrario reazionario, la nomenclatura della neonata repubblica borghese e strati sociali intermedi, con la speranza di determinare una svolta politica che portasse il PCI al pieno inserimento nel quadro di direzione politica della società.
Era questo, nel contesto calabrese, la traduzione paesana di una linea che partiva dall svolta di Salerno e arrivava al compromesso storico e che dilapidò tragicamente una straordinaria aggregazione maturata in anni di mobilitazioni di massa che rihiedevano, anche nel Sud, non quella integrazione interclassista ma una profonda rottura degli equilibri politici e sociali.
Così come”la svolta di Salerno” fu il tradimento della Resistenza e in particolare delle sue istanze classiste, la via delle “larghe intese” che in Calabria precorsero la tragedia del compromesso storico, fu un nuovo collasso gravido di pesanti conseguenze per il movimento dei lavoratori.
E’ impossibile negare che la nuova edizione dell’interclassismo togliattiano maturava in una dinamica in cui la lotta di classe attraversava una fase di crescente ripiegamento in cui la sconfitta della classe operaia della Fiat si sposava con una ricomposizione di un fronte moderato articolato e ampio che abbracciava i vari settori del mondo borghese e confindustriale, quelli oscuri delle logge massoniche, un blocco sociale meridionale di tipo mafioso (qui ricordiamo l’assassinio del compagno Valerioti e il sacrificio dai più rimosso del compagno Peppino Impastato, vittima dei carnefici annidati dentro il sistema di potere democristiano).
Poi un quadro internazionale complesso, dominato dal fallimento della perestroica e della dominazione burocratica simboleggiato dal crollo del muro di Berlino, dava il via libera alla trasformazione dei vecchi partiti pseudo-comunisti in forze sfacciatamente integrate nel sistema politico borghese.
Se è vero che le vicende di quegli anni bui portarno alla sostanziale liquidazione del vecchio PSI, la nuova generazione di leoni rampanti del neonato PDS, sotto l’illuminata guida dei vari Occhetto e D’Alema, riempiva di ombre pesanti lo scenario politico italiano.
E’ pure vero che la crisi della prima Repubblica comportò la scomparsa dall DC e del codazzo dei suoi partiti satelliti ma questa crisi sfociò nella ricomposizione del vecchio quadro di direzione politica in un complesso di forze conservatrici moderate (Forza Italia) e chiaramente reazionaria (Lega) e pose le basi per l’ulteriore genesi del populismo reazionario dell’antipolitica.
Se ci si interroga sulla comparsa della Lega nello scenario politico italiano non si possono rimuovere le responsabilità che la cecità della sinistra ebbe, in un tragico concorso di colpa per la genesi di questo sbocco.
La liquidazione di una chiara fisionomia di classe, non solo rese impossibile la costruzione di un’alternativa politica e sociale di avanzamento e-o di rottura rivoluzionario, ma consegno ai padroni la possibilità di costruire un fronte politico reazionario con milioni di uomini e di donne, rese più fragili e indifese le masse di tutto il Paese e in particolare quelle di un meridione saccheggiato da liberismo e privatizzazioni, devastato dalla mafia e colpito dalla distruzione degli enzimi di una coscienza classista.
E’ questa, chiaramente, la conseguenza di tutto ciò che era implicito nella direzione di marcia che caratterizzava la strategia delle larghe intese.
Oggi ci troviamo sbigottiti sulle macerie fumanti prodotte da quella devastazione e però nel loro fumo vediamo il barlume della speranza che può rimuovere quelle rovine.
E’ questo un mondo orribile, dominato da fame, guerre, oppressioni di ogni genere, crimini di mafia, violenza imperialista. Non c’è bisogno di pateracchi interclassisti, ieri le larghe intese oggi la rimozione della lotta di classe e di un orizzonte rivoluzionario.
I comunisti imparano sempre dalla storia e dai fallimenti cercano di trarre le lezioni utili a fare sventolare, per come è necessario, una bandiera senza macchia e senza paura, la bandiera rossa della rivoluzione socialista mondiale.