La potenza delle emozioni è tale da distruggere l’intera vita di un uomo se esse non trovano la giusta espressione e modulazione. Prendiamo il caso della rabbia; se la rabbia non si manifesta si congela nell’invidia sociale oppure diventa aggressiva e pericolosa. L’invidioso svaluta ogni propria qualità personale riducendola a polvere e cenere, si sente inferiore alla persona oggetto della sua invidia fino a sentirsi insignificante, si riduce ad essere servo di qualcuno che, se pure è un amico, può solo spiare come un ladro o un cospiratore; ogni suo vissuto più intimo è avvelenato da un profondo masochismo. Ancora una volta dobbiamo ammettere che più una società è fondata sul conflitto e la competizione, più l’invidia – che implica il confronto continuo – ne sarà il sentimento dominante. Se un tempo coinvolgeva soprattutto la competizione maschile per il prestigio guerriero (ricordiamo l’invidia del patriarca Aiace nei confronti dei più ammirati commilitoni Achille e Ulisse) e il prestigio sportivo, nella misura in cui lo sport rievocava la guerra; nell’epoca contemporanea, l’invidia riguarda tutti: chiunque può ambire alla ricchezza, all’arroganza e all’esibizione vanitosa. Spesso osserviamo delle bellissime donne stare con uomini potenti perché da essi possono ricavare sicurezza e sentimento di valore personale. I valori, le indicazioni del mondo contemporaneo non fanno altro che suggerire il possesso di beni per colmare la propria “mancanza ad essere” ovvero quel sentimento ontologico di insufficienza che caratterizza ogni essere umano in stato di solitudine. Con ciò ha sparso l’invidia sociale come un virus epidemico, rendendo la mancanza ad essere un buco nero da riempire con la competizione. <<Solo se possiedo quei beni o quelle relazioni sono un essere umano completo; se non li possiedo, non sono nulla!>>.
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- di Pasquale Lazzaro
- 8 Aprile 2023
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