Nelle relazioni di lavoro ci capita spesso di non riuscire a dire no e quindi accumulare frustrazione e rabbia. In realtà si tratta di una dinamica che può verificarsi nella vita in generale e che ci porta alla nascita di quel fenomeno definito come “burnout” che vuol dire letteralmente bruciarsi, prendere fuoco. Nacque con le esperienze cliniche di uno psichiatra Herbert Freudenberger,il quale fu il primo a descrivere questa condizione e a darle un nome. Nato in Germania nel 1926 si rifugiò durante il secondo conflitto mondiale negli Stati Uniti dove trascorse il resto della sua vita. Negli anni Settanta, Freundenberger lavorava nella free clinic di New York per aiutare i tossicodipendenti a uscire dall’abisso buio delle sostanze. Freudenberger credeva profondamente nel suo lavoro e perciò assicurava la sua presenza nella clinica dalla mattina presto fino a tarda notte, per poter rispondere ai bisogni dei pazienti e dell’istituzione. Dopo aver seguito questo ritmo per mesi, si accorse di essere diventato cinico e sarcastico verso chi si era proposto di assistere, ma ciononostante strinse i denti e portò avanti i suoi impegni. Freudenberger si convinse di aver bisogno di aiuto e riposo all’indomani delle ferie: aveva in programma una vacanza con la famiglia ma tornò tardi la notte e non riuscì a svegliarsi in tempo per prendere l’aereo con i suoi cari. In una sorta di autoanalisi, lo psichiatra si registrò mentre parlava del suo stato d’animo. Riascoltandosi riconobbe che la sua voce era carica di angoscia, rabbia, spossatezza, arroganza e senso di colpa verso la sua famiglia. Esiste un modo sano di gestire la rabbia? Premettiamo che essa nasce dall’ideologia del sacrificio e quella della gestione della rabbia. Significa che siamo portati ad aiutare l’altro a prescindere e a rimuovere la rabbia per non abbassare l’autostima. Il rimedio si trova pertanto nel prendere atto, riconoscere la rabbia e poi esprimerla. Il che, fate attenzione, non vuol dire essere diretti e crudi ma trovare le parole giuste per difendere i nostri bisogni. Possiamo dire che il singolo individuo per proteggersi dal burnout deve, da solo o meglio con l’aiuto di un professionista, abbandonare l’ideologia sacrificale e adottare una strategia di gestione dei propri bisogni e dei propri sentimenti avversativi. Questi ultimi, prima di essere espressi hanno bisogno di essere riconosciuti e tollerati dentro di noi. Esprimere la rabbia non significa quindi semplicemente comunicarla all’altro né tantomeno aggredirlo, ma piuttosto riconoscere quando una situazione trascura i nostri bisogni, e successivamente attuare dei comportamenti rispettosi in grado di modificare la realtà. Spesso, quando il montare della rabbia non viene riconosciuto in tempo, questa può esplodere improvvisamente contro l’altro (magari una persona che non c’entra nulla), lasciandoci poi a dover fare i conti con i nostri sensi di colpa. Nel peggiore dei casi potremo rinunciare ulteriormente a riconoscere i nostri bisogni per la paura di ferire l’altro, scivolando nella spirale del burnout. Invece la rabbia ha la funzione preziosa di segnalarci quando i nostri bisogni e nostri confini vengono ignorati e oltrepassati. Bisogna sottolineare che questo sconfinamento può essere vero o presunto, e che il fatto che ci stiamo arrabbiando non significa che abbiamo per forza subito un sopruso. Remo Bodei, riprendendo un’espressione Platonica, ci ricorda che eliminare la giusta indignazione significa “tagliare i nervi dell’anima”. Non reprimere questi sentimenti significa non reprimere la nostra vitalità e favorire il nostro sviluppo intelligente verso l’autonomia.
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IL BURNOUT: OVVERO BRUCIARE DENTRO
- di Pasquale Lazzaro
- 6 Marzo 2023
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- 2 anni fa