Un’occhiata al pubblico mantenendo la concentrazione su me stesso. Guardo tra le file di sedie, le persone sono attente; alcune sembrano stiano per presagire un mio blocco o fallimento, altre semplicemente attendono per vedere ciò che accadrà. Tra i volti vedo quello di mia madre, il contatto con il palco c’è e io recito per me stesso, come se fossi solo. Non è una mancanza di rispetto ma un modo per rendere al meglio, per mostrare la massima spontaneità. Paradossalmente, nel distacco, la vicinanza è più viva che mai. Achille Campanile offre una poetica ricca di doppi sensi e renderlo bene espressivamente non è facile perché il pubblico, si sa, è esigente. Accanto a me la splendida insegante di teatro Giovanna Larizza. In realtà è stata vicina a tutti noi che abbiamo recitato. A lei va il mio ringraziamento perché con la massima delicatezza e amorevole distanza è riuscita a farmi proseguire il viaggio verso la piazza, in un momento in cui mi sono trovato in crisi. Bisogna porsi in tal modo: amare attendendo senza forzare le cose. Esse verranno da sé e così; microfoni accesi, luci calde e fiammanti, il respiro controllato, un augurio di buona fortuna e siamo sulla scena. Se volete, un diario del 12 agosto 2025 a Bova Marina.
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