13 Dicembre 2024
Attualità Cultura ed eventi

JOYCE E LA DISCESA NEGLI INFERI

Lo scrittore irlandese James Joyce è uno che è sceso nel sottosuolo dell’esistenza umana. Nei suoi racconti l’elemento centrale riguarda la paralisi dei personaggi, l’immobilità, la mancanza di forza per andare oltre. Zone grigie dell’esistenza che fanno della morte, per Joyce, “la più bella forma di vita”, proprio perché ci costringe a virare verso noi stessi deviando dalla norma e da tutto ciò che è socialmente importante, preferendo quella verità che per la società coincide con la malattia. L’uomo sano avverte il proprio corpo solo nel momento in cui perde la salute fisica, allo stesso modo questa presa di coscienza, “a sudden spiritual manifestation”, è possibile solo sperimentando la malattia dell’anima. L’introspezione, però, necessita di coraggio, quello che manca a Eveline, protagonista dell’omonimo racconto, incapace di affermare la propria autenticità emancipandosi dalla famiglia e di modificare un’esistenza cristallizzata, anche infrangendo regole e convenzioni sociali apparentemente immutabili. Si tratta di quel coraggio di esprimersi e di trasformare qualitativamente la propria vita che affonda le radici nel confronto consapevole con la propria morte. La morte si rivela, dunque, una necessità di vita ed aleggia su tutti i racconti di Dubliners. V’è la fine della vita che corrisponde al silenzio assoluto della coscienza, ad un vuoto che tormenta l’anima con la sua continua richiesta di significato, la cui risposta può procedere in due opposte direzioni: la totale pienezza o l’inane vacuità del tutto. A noi la scelta.

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